Lisa si è domandata perché ho parlato di doppio vincolo nel commentare la foto di Michela. Ecco, Lisa, ho associato l'immagini al concetto creato da Gregory Bateson durante le sue ricerche sulla schizofrenia perché l'entrare e l'uscire, il passare e il rimanere incastrato si presentano visivamente in concomitanza. Puoi capire meglio ciò che intendo dire se leggi l'intervista a Alessandro Dal Lago su questo argomento.
http://www.emsf.rai.it/aforismi/aforismi.asp?d=59
Trascrivo qui parte dell'intervista:
Bateson è stato conosciuto in Italia, e anche nell'Europa non anglofona, soprattutto come uno dei responsabili della famosa teoria del "doppio vincolo" o "doppio legame" nella schizofrenia.
Facciamo una piccola premessa: i messaggi conflittuali sono comunissimi nella nostra cultura. Quando una persona va in un ristorante americano e trova la cameriera con un cartello che dice: "siete benvenuti" - e la cameriera ha le labbra che le cadono e un'aria stanchissima e sfatta dopo dieci ore di lavoro -, questo è un esempio banalissimo, come ce ne sono altri centomila, di comunicazione conflittuale.
Quello che interessa, nella teoria di Bateson, è che quando questi messaggi contraddittori vengono dati - e soprattutto ripetuti, reiterati - in un ambiente chiuso, in cui uno degli attori, in particolare quello che comunica i messaggi, ha il potere della relazione; allora questa situazione può portare all'incapacità, da parte del soggetto più debole, di rispondere.
Faccio un esempio solo, che riguarda la famiglia: la madre torna a casa carica di pacchi della spesa (lo scenario di questa teoria è quasi inevitabilmente lo scenario della middle class americana, cioè della gente che vive nei suburbi negli Stati Uniti), il figlio di sei anni le si fa incontro, pronto ad abbracciarla. La madre gli dice: "Abbracciami, perché non mi abbracci?", mentre invece questo evidentemente è impossibile, dato che ha in mano i pacchetti.
I messaggi conflittuali hanno un andamento molto vario. Essi possono essere (sempre a partire da quelle condizioni di chiusura del sistema - cioè una famiglia - e di potere emotivo detenuto soprattutto da una parte) entrambi dei messaggi verbali, e possono essere soprattutto messaggi che si situano a un livello verbale-non verbale, come l'esempio che ho fatto. In ogni modo si tratta di messaggi che mettono il ricevente, cioè chi riceve la comunicazione, nell'impossibilità di reagire, perché, nel caso della madre, il bambino non può abbracciarla per i pacchi, però viene fatto sentire in colpa perché gli viene detto di abbracciarla.
Questa teoria è stata vissuta per molto tempo, a partire dalla fine degli anni sessanta, quando è stata conosciuta in Italia, come una risposta alla psicanalisi o una risposta ad altri modelli terapeutici, mentre in realtà non voleva esserlo, per due motivi: innanzi tutto perché, come poi è stato mostrato da psicanalisti come Harold Serves e altri, un modello del genere non era necessariamente in conflitto con modelli di tipo psicanalitico; in secondo luogo perché Bateson, ancora una volta, è un personaggio che non si trova mai dove noi vorremmo trovarlo, non riesce mai a farsi inchiodare in un posto. Per Bateson l'elemento interessante in questa teoria non era tanto quello di spiegare il comportamento schizofrenico. Bateson era interessato invece al rapporto tra la logica della comunicazione contraddittoria e la logica della follia come attività comunicativa. Infatti negli esempi di discorso dei folli, in questi discorsi che registrava negli ospedali psichiatrici nel corso della sua ricerca, a Bateson non interessava vedere l'elemento patologico, ma semplicemente il ricorso a un'altra logica; il ricorso a un'altra logica metaforica, che non è più la logica convenzionale.
La mia impressione è sempre stata che Bateson non abbia mai dato molta importanza ai saperi terapeutici, ma che sia stato invece molto più interessato ad un'estetica generale delle relazioni umane.
Tratto dall'intervista "Gregory Bateson" - Roma, Accademia dei Lincei, giovedì 27 ottobre 1994
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