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venerdì 9 luglio 2010

giovedì 3 giugno 2010

Dialoghi Verbali, NonVerbali e TransVerbali


Clef des Songes - Ayres

Carissimi amici di Immagini per Raccontarsi,
vorrei rendervi partecipi della conversazione in corso tra me e Giorgia.

Ayres,
perdonami, ho letto il programma di ciò che faremo durante il tuo laboratorio di fototerapia e ho alcune perplessità.
La prima cosa che non mi è molto chiara è la natura del materiale fotografico che noi dobbiamo portare: si parla di foto che riguardino la nostra intera vita, dalla nascita ad oggi? Se così fosse, sarebbe per me un po’ complicato reperirle poiché la maggioranza delle fotografie di quando ero piccolina sono su diapositiva e dunque non saprei come fare. Inoltre, moltissime foto di quando non esisteva ancora il digitale le conservo in album fotografici, cornici o quant’altro e mi dispiacerebbe doverle utilizzare per un collage e non poterle poi più rimettere al loro posto. In secondo luogo, mi chiedo anche di quante immagini stiamo parlando (indicativamente) e se queste immagini debbano ritrarre sempre e soltanto me o possano mostrare anche semplici paesaggi o altre persone per me importanti. Infine, ti chiedo se sarebbe un problema se io non avessi a disposizione nessuno degli strumenti da te richiesti, ossia portatile, cornice digitale, macchina fotografica e videocamera.
Scusa ancora per le tante domande,
Giorgia

Carissima Giorgia,
ti ringrazio del messaggio che mi hai inviato sui dubbi che nutri rispetto al laboratorio di fototerapia del Master CLNV. La tua mail mi permette di abbordare alcune questioni molto spinose ma allo stesso tempo fondamentali. Prima di farlo, però, dovrei dirti che la tua partecipazione fino a questo momento è stata stimolante per me. Tu hai allargato il senso di immagine al proporre delle opere di Magritte e di Casper David Friedrich come forma di intervento sul viaggio e sul significato nella comunicazione verbale e non verbale. È stato l'inizio di una conversazione non verbale che poi è stata ripresa anche da Chiara e da altri partecipanti. Ho trovato curioso che tu abbia proposto due artisti ai quali sono particolarmente affezionato. La copertina della mia tesi al Master è quasi una parafrasi di un quadro di Magritte: una foto piena di simboli tra i quali la pipa che non è una pipa. Senza contare che passavo delle ore davanti ai quadri di Caspar Friedrich che sono alla Neue Nationalgalerie quando abitavo a Berlino. Piacevolissima coincidenza! Tu mi hai dato degli spunti per proporre un gioco che consiste nel creare delle combinazioni simili a quella della "clef des songes". Ho già iniziato la mia. Ho trovato un cappello che si chiama casa, delle scarpe che si chiamano birra, un uovo di pietra, delle candele della pazzia, un telefono pesce fritto e un bicchiere cieco. Credimi, è un racconto autobigrafico...
Sviluppare la competenza di dialogare e di giocare con le immagini può rivelarsi uno strumento molto utile quando ci troviamo davanti a persone che hanno un rapporto problematico con la parola e quando affrontiamo delle situazioni di comunicazione bloccata. Ci sono due giochi che utilizzo spesso negli interventi che faccio con gli anziani e che funzionano benissimo: la tombola visiva-sonora-olfattiva e il gioco della memoria fotografica. Se ti fa piacere ne potrei parlare nella prima parte del seminario.
Adesso veniamo agli spini. Ma, aspetta, fammi raccontarti una cosa. Prima di iniziare il master, avevo degli obiettivi molto chiari per quanto riguarda la mia formazione professionale. Sono stato preso da un fastidioso sentimento di frustrazione quando la Padoan mi ha subito stroncato e rifiutato il mio progetto iniziale. Mi ci è voluto parecchio per accettare il fatto che se non prendevo me stesso come oggetto di studio, come oggetto di ricerca, non sarei in grado di attuare un cambiamento qualitativo a livello professionale. Questa è stata la lezione più preziosa e più difficile che ho ricevuto dal Master e la condizione sine qua non per crescere, per formarsi, per autoformarsi. Poi ci sono state molte altre lezioni importanti come la necessità di rendersi conto che non si può trovare se stesso guardandosi allo specchio, sono le relazioni con gli altri che ci rendono visibili a noi stessi. Ti racconto questo solo perché ti voglio dire che quando vi ho chiesto di raccogliere le vostre foto, di selezionarle, di creare la vostra FotoBiografia, intendevo soltanto stimolarvi a dedicare un po' di tempo a voi stessi, alla vostra storia, alla vostra narrativa esistenziale. Il fatto di portare delle foto autobiografiche per condividerle al laboratorio non ha la minima importanza. L'importante è poter esperimentare l'emozione di ripercorrere la propria vita attraverso le fotografie, scegliere alcune e scartare altre, sentire la mancanza di alcune immagini perdute e poi raccontare a se steso che cosa sia successa dentro di sé lungo questo processo. Questa è una tappa inevitabile per poter utilizzare le fotografie anche con gli altri. Uno si rende subito conto della forza e del pericolo nell'intraprendere questo percorso e ci rende molto più consapevole, più sensibili e umili quando lavoriamo con altre persone. Certo, il gruppo, la condivisione sono delle opportunità importanti di crescita.
Allora, tornando ai tuoi dubbi. Se tu desideri, se tu credi che possa essere una occasione buona, ti propongo di raccogliere le tue foto autobiografiche e fare una selezione. Dieci foto, per esempio. Se le vuoi farci vedere, portale a Venezia. Io sarò lì il giorno prima. Potrò scansionare le diapositive e le fotografie e poi stamparle con una stampante che avremo a disposizione. Potrai utilizzare le stampe digitale per i collage e per attività. Ma se tu non consideri che sia questo il momento o che questa attività non abbia un senso per te, allora non fa niente. Puoi benissimo partecipare in tanti altri modi. Comunque ti invito a giocare, a creare una parafrasi della chiave dei sogni con 6 immagini e parole apparentemente sconnesse per un racconto surreale.
Non ti preoccupare di portare nessun strumento. Porta le tue idee, la tua energia, i tuoi dubbi, la tua perplessità. Sarà il miglior regalo che potrai fare a me e al gruppo.
Un forte abbraccio e, senza dubbio, sincero da
Ayres

Caro Ayres,
Grazie della tua bella mail! Devo dirti sinceramente che l’idea di un collage surrealista mi ha stimolata e, se ce la faccio, voglio cogliere la tua “sfida” e creare la mia chiave dei sogni! Per quanto riguarda la mia fotobiografia, anche se forse dalla mia mail precedente non si è capito, ho voglia di stenderla e inizierò da stasera a raccogliere alcune immagini. Vedo cosa posso fare con le diapositive di quando ero piccola, comunque il giorno prima del tuo laboratorio noi siamo a Venezia per un altro laboratorio e quindi magari riesco a venire a trovarti e a portarti un po’ di materiale! Ad ogni modo, dalla tua mail mi pare di aver capito che tu non ci darai delle istruzioni rigide da seguire, ma che sarà possibile giocare insieme…questa fotobiografia deve avere un significato per noi, giusto? Allora, io vorrei “provocarti” e dirti che mi è venuta un’idea per modificare un po’ l’idea di fotobiografia per adattarla meglio a quello che è il mio carattere ed il mio modo di pensare…posso farlo e poi portarti la mia idea il giorno del laboratorio o qualche giorno prima a Venezia? Non devo aver paura di un brutto voto, no??
Infine, voglio dirti che troverei interessantissimo approfondire i giochi che hai menzionato nella tua mail in situazioni di comunicazione bloccata…se questo può essere fatto a lezione, benissimo, altrimenti possiamo parlarne in separata sede, se me lo concederai.
Saluti,
Giorgia

Carissima Giorgia,
ho appena finito di comporre la mia parafrasi sulla “Clef des Songes” di Magritte che tu hai tirato fuori in uno dei tuoi primi interventi. Sarebbe bastata questa tua provocazione per farti meritare il massimo dei voti! Per costruire questo collage ho dovuto imparare ad usare alcuni strumenti di photoshop che mi saranno molto utili per il mio lavoro futuro. Ma più importante dell’aspetto tecnologico è il fato che l’associazione surreale tra parole e immagini di oggetti autobiografici mi ha aperto una strada narrativa che non vedo l’ora di percorrere. Per il momento mi accontento di questo primo racconto quasi non verbale che mi ha dato tanta soddisfazione. Vorrei proporre a te e a tutti i partecipanti del laboratorio questo gioco:
6 parole - 6 immagini e un racconto suLreale.
A voi le parolimmagini!
Un forte abbraccio
Ayres
per vedere l'animazione cliccate sull'immagine

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domenica 30 maggio 2010

EmeroBiografia



L’intreccio fra la Storia collettiva e la mia storia personale non emerge chiaramente dai miei racconti autobiografici. Leggendoli o ascoltandoli si ha l’impressione che il corso della mia vita si fosse disegnando un po’ per caso, spinto da contingenze familiari e individuali e dalle risposte che sono stato in grado di attuare.
E invece, è bastato intraprendere un viaggio visivo nel tempo attraverso le copertine di un settimanale brasiliano, la rivista Veja, per accorgermi del fatto che la mia microstoria personale non abbia mai smesso di dialogare intensamente con la macrostoria sociale. Un dialogo che all’improvviso si rivela sensoriale, emotivo oltre che intellettuale.
Sono passato dalla rivista brasiliana al settimanale americano Time e all’italiano L’Espresso e poi alla lettura dei principali avvenimenti di ogni anno su Wikipedia. E così la tessitura delle diverse dimensioni storiche cominciarono ad evidenziarsi. Le malattie e i progressi della medicina, le conquiste sociali, i cambiamenti dei costumi e della situazione macroeconomica, i film, gli artisti, la politica, le catastrofi, quando guardati a distanzia nel tempo, nel loro insieme formano una mappa che ci aiuta nell’orientamento spazio temporale del nostro percorso individuale e allo stesso tempo rappresenta un prezioso strumento di rievocazione autobiografica.
Dall’altro lato non è difficile nemmeno perdersi nel mare di immagini, di nomi e di eventi che si accumulano nel tempo. Per questa ragione ho iniziato a giocare. Per esempio, ho raccolto le copertine con la data del mio compleanno per vedere di che cosa si parlava in quei giorni. Dagli elenchi di film lanciati ogni anno ho selezionato quelli che avevo visto e quelli che avrei voglia di vedere. I vincitori dei premi Nobel, i campionati mondiali di calcio, i fatti di cronaca nera, tutto questo, una volta filtrato sia dal tempo che dalla nostra storia personale formano un tipo di impalcatura cronologica di possibili narrazioni autobiografiche e allo stesso tempo rafforza il sentimento di comprensione e di appartenenza al momento presente.
Ho scelto alcune immagini che mi hanno reso più consapevole del quanto il mondo sia entrato dentro di me. Adesso mi manca soltanto raccontare come questo sia successo.

mercoledì 19 maggio 2010

L'Immagine Riflessa di Sé


Mi guardavo sullo specchio e soffrivo.
Mannaggia, come sono brutto!
Mio padre e mia madre ben che potevano avermi fatto un po’ meglio.
La faccia che guardavo riflessa davanti a me non mi rappresentava adeguatamente.
“Quel viso non è una traduzione accettabile di me stesso. Non mi ci vedo, non mi ci riconosco.”
Lo specchio mi ha fatto penare dall’infanzia fino ad una certa fase dell’adolescenza.
Un giorno, un giorno preciso, mi sono chiuso in bagno e mi sono guardato bene, a me e a quell’immagine riflessa.
“Guardala bene, Ayres, perché la stai vedendo così per l’ultima volta”.
“Adesso basta, non voglio più soffrire.”
Così, non mi sono mai più guardato allo specchio. Non mi pettinavo e quando i pelli sono spuntati non mi facevo la barba. Ho risolto la questione. In un certo modo ha funzionato.
Che cos’è che non mi piaceva nel mio viso?
In particolar modo ce l’avevo con il mio naso e con i miei capelli e non mi piaceva quell’espressione di insofferenza e di fragilità che percepivo nel mio sguardo.
Giustamente il naso e i capelli denunciavano con più evidenza l’eredità negra che avevo ricevuto e che non avevo ancora imparato a riconoscere, ad accettare e ad amare.
I modelli di bellezza ai quali facevo riferimento erano altri. Avrei voluto assomigliarmi a Steve McQueen.
Tutto questo è cambiato molto, anche se molto lentamente.
Paradossalmente, è stato proprio quando vivevo a Berlino che questo processo di trasformazione ha preso vigore. Poi, quando mi sono trasferito nel Nord Est del Brasile, il cambiamento si è compiuto. Allora ero un venticinquenne a trotterellare in compagnia di una ragazza deliziosa in una società tropicale degli anni 80.
Recentemente ho raccontato al mio analista che negli ultimi anni faccio spesso degli autoritratti.
“È grave?”, gli chiesi.
“Insomma...”, ha risposto lui.
Il fatto è che mi piace tantissimo accompagnare il percorso di trasformazione del mio aspetto. La mia faccia mi diverte.
Non è che sia diventato più bello, al contrario. Ma mi riconosco di più in questo mio viso beffardo, nella disposizione ribelle dei miei denti, dei miei capelli inesistenti che adesso crescono verso dentro, come cespugli crespi di idee protette da una testa in forma di uovo un po’ schiacciato.
Sarà che la felicità comincia ai 50?
Una volta un giornalista domandò ad uno degli scrittori brasiliani che amo di più, Nelson Rodrigues, che consiglio dava ai giovani.
“Invecchiatevi!”, rispose.
Dio, sto invecchiando!

martedì 18 maggio 2010

Fototerapia: nomenclatura e definizione


Quale nome dare agli interventi che utilizzano la fotografia come strumento terapeutico, riabilitativo, formativo o ludico?
Tendo ad utilizzare la parola Fototerapia indiscriminatamente, nonostante sia consapevole degli equivoci che questo termine possa suscitare.
La prima ambiguità si deve al fatto che la stessa parola viene impiegata in campi molto diversi. Nella medicina, in ambito dermatologico, la Foto-(luce) terapia-(trattamento) si riferisce allo sfruttamento delle proprietà della luce per il trattamento di patologie cutanee. Nella pediatria la fototerapia è adoperata per ridurre l’ittero nei neonati. Sembra che la luce naturale e artificiale modifichino la struttura molecolare della bilirubina, rendendola solubile in acqua ed eliminandola attraverso la bile e l’urina. In età adulta la fototerapia viene utilizzata per combattere l’acne e la psoriasi.
Sempre in ambito medico, la fototerapia viene impiegata nel trattamento della depressione stagionale e della depressione bipolare. Questa terapia sfrutta la connessione che esiste tra la retina e il nucleo soprachiasmatico, dove è situato l’orologio biologico dell’uomo. In questo caso la fototerapia viene chiamata anche terapia della luce, Light therapy e Cronoterapia.
In Psicologia, la fototerapia si riferisce all’utilizzo sistematico che un terapeuta debitamente istruito fa del materiale fotografico, all’interno del setting terapeutico, con la finalità di facilitare la crescita e cambiamenti positivi nei pensieri e sentimenti dei pazienti (Douglas Stewart, David Krauss)
In contesti riabilitativi, educativi, pedagogici, formativi, espressivi, della comunicazione e dei linguaggi non verbali, delle terapie espressive, dell’animazione, della mediazione, quando le attività non sono condotte da un terapeuta, non si dovrebbe chiamare fototerapia. In questi casi è stato proposto, tra tanti altri, il termine “Fotografia Terapeutica” (Judy Weiser).
Non sono molto convinto che questa distinzione sia opportuna.. La qualifica professionale di origine del conduttore o l’ambiente all’interno del quale un’attività o un progetto si realizza non sono sufficienti per definire una metodologia, una tecnica o una potenziale disciplina. Così facendo si corre il rischio di attribuire nomi diversi ad attività molto simili o, dall’altra parte, di chiamare con lo stesso nome attività molto diverse. La formazione di base di uno psicoterapeuta, uno psicologo, un formatore, un educatore, un pedagogo, un animatore, un assistente sociale, un arte terapeuta o di un mediatore culturale non fornisce automaticamente alla figura professionale la competenza per attuare un intervento di fototerapia. D’altra parte, tutte queste figure possono servirsi dei materiali fotografici all’interno dei loro ruoli professionali senza che i loro interventi si caratterizzino necessariamente come fototerapeutici. Sono del parere che per poter progettare ed attuare un intervento di fototerapia sia necessaria una formazione specifica che fornisca gli strumenti concettuali e pratici specifici che vanno oltre alla formazione di provenienza di una nuova figura professionale: il fototerapeuta.
Sono convinto che la fototerapia potrebbe diventare una disciplina autonoma, come accade nel caso della musicoterapia e della psicomotricità.
All’interno della musicoterapia, per esempio, ci sono tante scuole, con riferimenti teorici e metodologici molto differenziati tra di loro che si collocano in punti diversi in un continuum che va dalle proposte che enfatizzano l’aspetto creativo, espressivo musicale ad altri approcci più psicologici, terapeutici e riflessivi. Nonostante le differenze esistenti tra i vari metodi, rientrano tutti all’interno di una disciplina chiamata musicoterapia. In questo senso sarebbe forse più appropriato parlare di MusicoterapiE piuttosto che di MusicoterapiA.
Credo che lo stesso principio possa essere applicato alla fototerapia, o meglio, alle FototerapiE.
Prima di cercare una definizione di fototerapia che descriva il nostro metodo di intervento, sarebbe necessario compiere due operazioni preliminare. La prima è quella di concettualizzare la Fotografia attribuendo un significato preciso all'interno del contesto teorico al quale facciamo riferimento. La fotografia è un sistema e come tale opera una semplificazione della complessità del reale. Dunque possiamo dire che la fotografia è un sistema di rappresentazione visiva della realtà. La peculiarità di questa rappresentazione è che l'immagine viene catturata per mezzo di uno strumento: la macchina fotografica. La seconda operazione preliminare sarebbe quella di spostare l'enfasi dall'immagine fotografica all'agire fotografico.
A questo punto proporrei una definizione di fototerapia tra le tante forme di fototerapie possibili.
La Fototerapia è una disciplina che consiste nell’utilizzo consapevole dell’Agire Fotografico con finalità formative, terapeutiche o riabilitative, applicato a se stessi o agli altri.
L’Agire Fotografico è l’insieme di azioni, attive e passive, in cui sono coinvolti i diversi soggetti che prendono parte ai momenti di produzione e di fruizione dell’immagine fotografica, come pure le relazioni che si vengono a creare tra i numerosi elementi che costituiscono questo processo.
I soggetti dell’Agire Fotografico sono le persone che fotografano, che sono fotografate, che partecipano alla costruzione della scena, che osservano sia lo scatto che l’immagine fotografica, che manipolano, propongono o che commentano una fotografia.
Gli elementi dell’Agire Fotografico possono essere:
- concettuali-situazionali: il tempo, lo spazio, il momento, la situazione, l’ambiente, il mondo esteriore, il mondo interiore;
- strumentali-materiali: la macchina fotografica, il rullino, la scheda di memoria, l’ingranditore, il computer, i software, la carta, l’album;
- emozionali: i sentimenti, le sensazioni, le emozioni, le idee, i pensieri, i ricordi;
- prodotti del processo: la stampa, la presentazione, il collage, l’organizzazione dell’album, i racconti e l’abbinamento ad altre forme espressive.
La fototerapia così concepita si inserisce sia nell’ambito della comunicazione e dei linguaggi non verbali che nell’ambito delle terapie espressive.
Questo modello fa riferimento ai concetti di formazione e di autoformazione, di multimedialità, ai modelli della musicoterapia, della psicomotricità e della performance, all’esercizio dell’autoconsapevolezza, dell’autobiografia, dell’autopesis, della scrittura creativa, esplorando le loro dimensioni individuali, di gruppo e storico-sociali.
Questa proposta metodologica è il risultato dell'incontro di una prassi individuale pluriennale dell'utilizzo della fotografia in contesti della salute mentale e dell'anzianità da una parte, con il lavoro di ricerca, di riflessione teorica su questa prassi e del suo approfondimento e ampliamento realizzati in ambito accademico all'interno del Master in Comunicazione e Linguaggi non Verbali dell'Università Ca' Foscari di Venezia.

Sono molto evidenti i contributi teorici del lavoro sull'agire comunicativo di Ivana Padoan nella chiave di lettura proposta dal Professor Umberto Margiotta. Sono presenti anche i contributi dai docenti del Master in generale e in particolar modo di Umberto Galimberti, Lino Vianello, Mario Paolini, Ezio Donato, Paolo Puppa, Sonia Compostella, Fiorino Tessaro, Alberto Caneva, Lucio Cortella, Marinella Sclavi. I riferimenti teorici dominanti sono quelli di Schön, Bateson, Mezirow, Knowles, Dewey, Demetrio, Donata Fabbri, Laura Formenti, Wim Wenders, Claudio Marra.

Per questa ragione ritengo che sarebbe opportuno individuare un termine per denominare questo modello metodologico, come succede per esempio con la parola “Fotolinguaggio” che designa uno specifico metodo psicodinamico di mediazione nei gruppi. Visto che il nostro modello si basa sul concetto dell’agire fotografico, potrebbe chiamarsi “FotoAzione” (dunque metodo FotoAttivo), oppure FotoComunicazione (metodo Fotocomunicativo) o ancora Fotorelazione (metodo Fotorelazionale). Forse si potrebbe trovare un’altra alternativa lessicale che fosse più azzeccata.
La Professoressa Ivana Padoan ha proposto che cogliessimo l’occasione del nostro incontro a Venezia anche per trovare un nome per il nostro metodo fototerapeutico. Cominciate a pensarci.
A proposito, il 22 Maggio del 1856 lo psichiatra e fotografo Hugh Welch Diamond presentò alla Royal Society of Medicine, a Londra, una relazione sulle potenzialità della fotografia come strumento terapeutico. Si tratta del primo documento di un intervento fototerapeutico ante litteram. Chi sa se circa 155 anni più tarde un altro passo importante non sia compiuto verso la creazione di una disciplina autonoma chiamata...
A voi, del Laboratorio di Fototerapia “Immagini per Raccontarsi”, la parola...
Ayres Marques Pinto

Album di Famiglia in progress


Mia nonna Rosa aveva una scatolina di latta dove teneva una decina di foto di famiglia. Aprire quel forziere arrugginito che custodiva la memoria visiva dei miei ancestrali era come tuffarmi in un mondo così distante nel tempo e che magicamente diventava presente. Un universo, popolato da faccie sconosciute e così familiari, animato dall’eco di voci scomparse che rimbombavano nel silenzio dei pomeriggi mentre immaginavo le storie della vita di quelle persone delle quali rimanevano soltanto quelle vecchie immagini stampate in bianco e nero.
Mia madre, invece, teneva le foto in album. Album grandi pieni di foto più recenti, foto dei figli, sopratutto, immagini più fresche che puntavano al futuro. Ne aveva quattro o cinque di questi libroni di immagini che ogni tanto andavo a sfogliare senza tanto interesse.
Io ho una decina di miglia di foto, alcune che non sono mai state stampate, e non ho un album di famiglia!
Voglio costruire il mio album!
Per fare questo avrò bisogno dell’aiuto dei miei zii, dei miei fratelli, cugini e nipoti. Ma sopratutto dovrò trovare il TEMPO, la calma, lo spirito per andare a cercare i negativi, di andare ad aprire le cartelle dei dischi rigidi pieni zeppi di scatti che, proprio a causa dell’abbondanza, corrono il rischio di semplicemente scomparire tutti quanti, senza lasciar traccia di sé. Lo voglio fare per me, per i miei fratelli, per mia figlia, per i miei nonni, e chi sa, per una mia nipotina che in un pomeriggio pigro possa esplorare un mondo di visi sconosciuti e familiari ed immaginare le avventure di persone che in un tempo lontano erano eterne anche loro.

mercoledì 12 maggio 2010

Che ore sono?


Stefania e Mezza


Ayres e un quarto

Dialogo Attraverso Immagini

Giorgia:


Ayres:


Giorgia:


Ayres:


Chi vuole continuare?

mercoledì 5 maggio 2010

MusicoBiografia


Raccontarmi attraverso i brani che mi hanno segnato, nel bene e nel male, sembrava una buona idea. Ho iniziato ad elencarli. Un brano tirava l’altro. Nel giro di un paio di giorni ero già arrivato ad una centinaia di pezzi e ancora mi sembrava incompleta la colonna sonora della mia vita.
Mi è venuta una gran voglia di riascoltarli. Ho cominciato a frugare tra i miei cd e tra i vinili che mi sono rimasti e quando non trovavo ciò che cercavo mi rivolgevo a Sant’Internet. Durante l’ascolto della musica mi tornavano i ricordi degli eventi, dei luoghi, delle persone che venivano magicamente ad orbitare in torno a quelle melodie. Poi ho dato inizio all’ organizzazione cronologica di tutto quanto, e alla ricerca delle informazioni sugli autori ed interpreti, mettendo in relazione la mia storia individuale con il contesto storico più ampio.
Ragazzi che esperienza! Un’avventura che promette stendersi ancora per molto tempo ma che vorrei già da subito condividere con voi. Vi presento l’elenco incompleto dei brani scelti, alcuni già accompagnati da informazioni.
Se avete anche voi un pezzo musicale che vi è particolarmente significativo e che volete includere nella compilation del gruppo, basta inviarmi il titolo del brano, il compositore e l’interprete. In questo modo possiamo condividere i nostri repertori musicali. Se vi interessa qualche pezzo presente nella mia MusicoBiografia fattemi sapere, così vi posso inviare un link dal quale scaricarlo. Per adesso c’è soltanto una prima traccia nella nostra playlist: Palhaço di Egberto Gismonti. Potete ascoltarlo cliccando sulla Playlist di Immaginiper o andando direttamente al link del brano su “The Music Hutch”. In seguito vi racconterò come questa composizione è entrata a far parte della mia storia.
Caro saluto
Ayres

martedì 4 maggio 2010

FotoBiografia - Ayres


Andare dal fotografo era la peggior tortura che mi potesse capitare. Che noia mortale, che spreco di tempo! Quelle sezioni interminabili. Odiavo essere fotografato.
Fotografare invece mi è sempre piaciuto. Da bambino, per gioco, per divertimento. Da giovane, per desiderio di comunicare, di dire ciò che le parole preferivano tacere. Da vecchio, per piacere, per lavoro, per testardaggine...
In tutti i traslochi che ho fatto nella vita, non mi sono mai portato dietro le foto dalla mia infanzia. Quando nel 2006, mentre frequentavo il Master in Comunicazione e Linguaggi non Verbali a Venezia, mi è venuto il desiderio di fare la mia FotoBiografia, ho dovuto rivolgermi a mia sorella più grande, Nenê, e a mio fratello immediatamente più piccolo, Adolpho. Grazie a loro due e ad internet sto riuscendo, lentamente recuperare le immagini del mio passato. Da alcuni anni sono diventato fotografo di me stesso e ho sviluppato una grande tenerezza verso i fotografi in generale e in particolare verso quelli che mi hanno fotografato da piccolo. Intanto, credo che non potrei mai fare il fotografo per professione. In fondo la fotografia non mi interessa. Ciò che conta per me è la relazione tra il fotografo e il fotografato e tra il fotografo e se stesso.

venerdì 30 aprile 2010

Presentarsi: l’arte di nascondersi


Ero a casa di un amico mio, più giovane di me, nel 2002. Lorenzo Paci si era stupito del fato che io non avesse mai digitato il mio nome in un motore di ricerca per vedere che cosa venisse fuori. Credevo che non comparisse niente visto che non avevo mai messo alcuna informazione personale sul WEB. E invece, appena scritto Ayres Marques Pinto su Google, ecco che spuntano fuori notizie del mio passato di bambino attore, alcune anche sbagliate, qualche notizie di giornale e alcuni omonimi, Ayres Marques e Ayres Pinto, in giro per il mondo. Sono rimasto abbastanza perplesso, tra sorpreso e deluso. Per Internet era come se io non esistesse più. Allora ho domandato a Lorenzo che cosa dovevo fare perché “io” figurasse ancora come un essere vivente e attivo sulla Grande Rete. Un profilo pubblico, è stata la risposta. Dal 2002 ad oggi mi è capitato di dover fare profili in tutte le salse e tutte le lingue con un interesse sempre minore verso questa attività. Infine mi sono scritto un “profilo ufficiale” in Portoghese, in Inglese e in Italiano che utilizzo quando mi chiedono di presentarmi, sebbene non mi riconosca totalmente nella storia delle cose che ho fato e nelle situazioni vissute. Per questa ragione ero indeciso se chiedere o meno ai partecipanti del Laboratorio di Fototerapia Immagini per Raccontarsi, di condividere con il gruppo una loro breve biografia. Alla fine, ho suggerito a tutti di fare una presentazione di sé e gli ho spedito il mio vecchio, ammuffito profilo. Poco prima di spegnere il computer, a notte fonda, ricevo già un primo riscontro. Valentino mi scrive un suo resoconto biografico che in un Minuto rendeva chiara la ragione della mia insoddisfazione. In un racconto lampo, coraggioso e libero, Valentino mi ha dimostrato che alla mia “lunga” biografia mancava il suo contrario. La mia narrazione corrispondeva al guardarsi allo specchio, mentre quella di Valentino era come guardare a se stesso da una finestra. Avevo raccontato la mia vita in forma di curriculum, senza che in realtà parlasse di me. È vero che per definizione un profilo è qualcosa di incompleto, di parziale, qualcosa che nasconde tanto quanto rivela. E così, prima di andare a letto ho buttato lì delle parola apparentemente senza senso ma che forse rappresenta il rovescio, altrettanto veritiero, dello schizzo autobiografico che avevo inviato prima e da affiancare ad esso.

L’Altro Profilo di Ayres

Sono figlio di mia madre e, probabilmente, di mio padre e nipote dei miei nonni e fratello dei miei fratelli e di mia sorella. E come se non bastasse, sono nipote anche dei miei zii e cugino dei miei cugini e delle mie cugine.
Sono nato nella mia terra natale nella metà di un secolo dell’Era Cristiana, mica tanto cristiano. Sono andato a scuola, tanto. Ho studiato, poco. Ho imparato, quasi niente. Ho giocato, sempre. Ho fato degli amici, pochi ma buoni e dei nemici, tutti bastardi. Ho distribuito delle botte e ne ho prese più o meno in uguale quantità. Mi sono innamorato tanto e tante volte, ma poche volte corrisposto, ma mi accontento perché poteva andare peggio. Ho cominciato a lavorare all’età di quattro anni. Per me il lavoro era un gioco. Oggi, per me il gioco è un lavoro: sono animatore. Non vedo l’ora di andare in pensione per poter cominciare a lavorare sul serio. Ho piantato degli alberi, ma ho dovuto vendere la terra. Ho scritto dei libri, oggi introvabili. Ho una figlia e una moglie, ma non so per quanto tempo. Le mie certezze mi hanno portato alla rovina, a me e a tutti quelli che ci hanno creduto. I miei dubbi sono tutto quello che mi rimane e gli custodisco gelosamente, credo. Mi considero diverso da tutti gli altri, proprio come tutti gli altri. Avrei ancora molto da dire, ma forse ho già detto fin troppo, almeno per oggi.

giovedì 29 aprile 2010

Benvenuti!


Benvenuti al
Laboratorio di Fototerapia
“Immagini per Raccontarsi”

È con molto piacere che vi presento una proposta di itinerario fototerapeutico da percorrere insieme a partire da oggi fino al 24 Giugno 2010, quando ci incontreremo al Teatro Giovanni Poli a Venezia.
Sono tante le ragioni di questo mio entusiasmo verso questa avventura che, in un certo modo, rappresenta la coronazione di 10 anni di ricerca su qualcosa che ha tanti nomi: Fototerapia, Foto-Terapia, Fotografia Terapeutica, Photo-Therapy... ma che fino ai nostri giorni, sorprendentemente, non si è costituita come disciplina autonoma. Lungo il mio percorso accidentato di ricerca libera e appassionata su questa tematica mi sono trovato nel 2006 a Venezia come allievo del Master in Comunicazione e Linguaggi non Verbali della Ca’ Foscari. Non ho trovato nel Master le risposte che cercavo. Al contrario, mi sono state proposte altre domande che, stranamente, io non mi ero mai posto. La non-tesi che ho difeso alla fine del corso racconta questa mia traversia formativa. Questa esperienza (tras)formativa ha cambiato non solo il corso della mia indagine ma anche il rapporto che io avevo instaurato con essa. Questo è avvenuto grazie non soltanto ai maestri che ho incontrato, come la Padoan, Galimberti, Margiotta, Cortella, Tessaro, Vianello, Paolini, Donato, Puppa e tutti gli altri docenti, ma soprattutto grazie al vissuto condiviso con i miei compagni di corso.
Potete allora immaginare quale sfida e quale privilegio questo laboratorio rappresenta per me. Avere la possibilità di confrontarmi ancora una volta con i nuovi allievi di questo Master singolare, di poter incontrare alcuni vecchi maestri di studio e di vita e tutto questo a Venezia, città che insieme a Berlino, Natal e Cambridge considero casa mia, è veramente eccezionale!
Vorrei perciò ringraziare chi ha avuto il coraggio di invitarmi a condurre questo workshop e salutare con molto affetto tutte le persone che hanno voluto partecipare a questo esperimento e che dunque si sono rese disponibili a giocare e allo stesso tempo a mettersi in gioco.
Insisto nel dire che si tratta soltanto di una proposta che prenderà forma strada facendo, come risultato del contributo che ognuno di noi porterà alla realizzazione di questo progetto.
Visto che tutta la fase di preparazione del nostro lavoro sarà svolto online, ho pensato di mettere a nostra disposizione una serie di canali di informazione e di comunicazione. Forse questo espediente può rivelarsi dispersivo, ma ha il vantaggio di offrire ad ognuno la possibilità di utilizzare gli strumenti che gli siano più congeniali. Propongo di segnalarmi ogni volta che utilizzate uno degli strumenti sotto elencati, attraverso l’indirizzo mail:
immaginiperraccontarsi@gmail.com
oppure
ayresmarques@gmail.com
Oltre alla vecchia buona e-mail, abbiamo anche un sito molto semplice che servirà da contenitore delle informazioni e dei link ad altri strumenti. Sul sito Immagini per Raccontarsi il cui indirizzo è:
https://sites.google.com/site/immaginiperraccontarsi
dove troverete la proposta di programma del seminario, informazioni sulla fototerapia, la mia non-tesi per il Master, racconto della mia “scoperta” della fototerapia, schema dell’agire fotografico, libricino sulla fototerapia applicata agli anziani e ai ragazzi della scuola media, links utili, e tante altre cose...
Abbiamo anche un blog il cui indirizzo è: www.immaginiperraccontarsi.blogspot.com
Per chi preferisce utilizzare un social network, abbiamo il gruppo Immagini per Raccontarsi su Facebook.
Abbiamo anche il gruppo fotografico “Immagini per Raccontarsi” su Flickr, molto semplice da gestire per chi ha un account Yahoo. L’indirizzo è: http://www.flickr.com/groups/1392386@N20/
Io vi consiglierei vivamente di aprire un account Google (GMAIL) che vi permetterà di usufruire di tanti strumenti che ci possono essere molto utili come Picasa, Google Talk, Google Docs, Blogger, Google Maps, Youtube, ecc.
Per adesso vi saluto e aspetto con allegria il momento di conoscervi meglio.
Che ne dite di presentarvi al gruppo? Potete utilizzare il profilo di Yahoo, Google, Virgilio o qualsiasi altro strumento che abbia un link da condividere. Altrimenti anche una breve mail può andare bene. Raccontate qualcosa di voi. Certo, qualcosa che sarà poi letta da tutti...
Un forte abbraccio
Ayres